COME UN'INTRODUZIONE - 2
Trovo che la giornalista Anna Menale, a tanti anni di distanza dalla grande ondata di riflessioni collettive sul linguaggio femminile, pur giovanissima possieda “le parole per dirlo”. Nella sua newsletter Femminismi (scoperta grazie ad Appunti, sito dell’iperattivo Stefano Feltri) ho ritrovato il linguaggio che all’epoca ci sembrava indispensabile per comprendere in modo profondo, per andare alla radice delle relazioni fra donne e con se stesse. L’occasione è l’analisi che compie su L’amica geniale di Elena Ferrante. Sebbene io non abbia letto la quadrilogia, attraverso recensioni e commenti credo di aver capito quanto la materia del romanzo - il rapporto fra Lila e Lenù - sia modellata in modo incisivo; e tuttavia la lettura di Anna Menale è acuta, aggiunge molto alla comprensione delle dinamiche - e dei fantasmi, femminili, materni, maschili - che agiscono, invasivi, nell’universo affettivo delle donne. Stralcio qualche commento: “Ricongiungersi con il suo passato significa soprattutto ricongiungersi con Lila: un possibile riavvicinamento con lei le fa paura, perché non vuole essere ‘riassorbita’ nel suo mondo.
“In realtà, Lenù non vuole essere riassorbita dal modo in cui Lila si rivolge a lei, … perché sa che la sua amica saprebbe mostrarle senza censure le contraddizioni che fanno parte della sua nuova vita, con Nino, …
“… nonostante la - breve - lontananza emotiva, c’è una connessione intrinseca tra Lila e Lenù, una sorta di vicinanza tra loro anche nei corpi, … perché le due scoprono d’essere incinte nello stesso periodo.”
Proprio il linguaggio della Menale mette bene a fuoco alcuni passaggi cruciali, come “l’inizio di un nuovo legame tra Lenù e la madre Immacolata. Nell’abbraccio - quello che all’inizio Immacolata aveva rifiutato, ma che ora accoglie - che le due si scambiano prima di entrare dal medico che comunicherà loro la malattia di Immacolata, si percepisce un’intimità tra madre e figlia mai sperimentata prima.” Giustamente, Anna Menale indica come uno dei più affascinanti del romanzo il rapporto fra Elena e sua madre Immacolata. … “Elena ha sempre creduto di voler essere una donna simile ad Adele Airota, per poi rendersi conto non soltanto di essere simile a Immacolata Greco, ma di poter essere simile a lei senza vergogna alcuna.”
E poi, in quei pomeriggi in via del Governo Vecchio, cercavamo di andare oltre: non solo non vergognarsi, ma anche rivendicare, riaffermare il rapporto madre-figlia, il più radicale, spesso mascherato da una figura maschile (si ama un uomo o quel che ci richiama dell’immagine materna?).
Se non ricordo male, dopo un importante convegno di donne, il quotidiano la Repubblica titolò che il movimento oscillava "tra i fucili e la mamma". Esattamente.

Questo momentaneo ritirarmi in un piccolo gruppo di autocoscienza è stato causato anche da quei tempi particolarmente violenti, l’epoca della strategia della tensione. Il 12 maggio 1977 ero alla manifestazione universitaria durante la quale fu uccisa Giorgiana Masi, 19 anni. Con una mia compagna di studi ci trovavamo proprio lì, sul ponte Garibaldi, dove ora c’è una lapide che ricorda quella morte assurda, una ragazza colpita alla schiena durante una raccolta firme del partito radicale: iniziativa travolta, quel pomeriggio, da un agguerrito corteo della sinistra extraparlamentare e dell’Autonomia operaia. Ricordo bene il cambio repentino dell’atmosfera, quanto ci siamo spaventate (“ma che sta succedendo?”), e di come siamo scappate rifugiandoci in un negozio, che subito abbassò la saracinesca. Non eravamo lì per lanciare molotov o sparare.
Giorgiana Masi fu colpita alle 19.55. Il ministro Cossiga aveva vietato le manifestazioni di piazza a causa del clima sempre più violento (il 21 aprile, durante scontri fra polizia e Autonomia operaia era stato ucciso l’agente Settimio Passamonti); ma il partito radicale aveva voluto sfidare il divieto con un sit-in e una raccolta firme per abrogare questo provvedimento restrittivo. L’omicidio, fra le ipotesi più diverse e drammatiche che si sono succedute, è ancora insoluto. Così, anche il movimento femminista si spaccava.
A posteriori, mi fa impressione la vicinanza di due date che, vissute giorno per giorno, non avevo associato.
Il 5 giugno 1975 era stata uccisa in uno scontro a fuoco Mara Cagol, moglie di Renato Curcio, fondatore, insieme a lei, delle Brigate Rosse. Il 29 settembre dello stesso anno è il terribile momento del massacro del Circeo.
Il collettivo è stato un toccasana, un momento di totale isolamento e riflessione, di presa di coscienza e conoscenza di sé, fuori da ogni modello e schema suggerito o imposto, via dalla pazza folla.

Perché, pur amorevolmente legata ai libri e allo studio, andavo alle manifestazion? Perché la libertà è partecipazione, come cantava Giorgio Gaber. Ero interessata a tutto e curiosa.
Nel 1977 (annus horribilis?) anche una studentessa di Firenze in qualche modo partecipa alla lotta politica universitaria, e legge Uccelli di rovo.
Si chiama Rossella Casini e la sua terribile storia è raccontata da Roberto Saviano nel suo titolo più recente, L’amore mio non muore: del quale, secondo me, in queste settimane dedicate dai giornali alle letture estive, si è parlato troppo poco. Per amore, la vita di questa ragazza viene deviata verso un destino incredibile. Conosce Francesco, studente calabrese fuori sede che viene ad abitare nel suo palazzo. E’ un colpo di fulmine. Con la famiglia e Francesco stesso Rossella scende quindi in Calabria, nella Piana di Gioia Tauro, per conoscere i futuri suoceri e tutta la famiglia del fidanzato. L’accoglienza è cordiale, affettuosa, ma venata da un clima inquietante e claustrofobico di cui Rossella si rende conto presto. Purtroppo assiste per caso a un episodio cruento della sanguinosa faida fra famiglie di ‘Ndrangheta. Testimone scomoda, il 22 febbraio 1981 sparisce per sempre e non verrà mai ritrovata. Nonostante ciò è considerata dallo Stato vittima di quella mafia calabrese.
Ho letto questo libro con continuo stupore per l’assurdo destino di questa giovane donna, convinta di poter salvare il suo sentimento e il suo innamorato. Eppure, penso infine, mentre lei avrebbe potuto scegliere se condividere o meno il destino di Francesco, chi non aveva scelta è lui, il giovane innamorato, nato in una famiglia stritolata negli ingranaggi della peggiore organizzazione mafiosa, di cui anche Saviano stesso è vittima.

La lucida consapevolezza di Carla Lonzi già fra il 1970 e il 1973 aveva messo nero su bianco alcune riflessioni fondamentali sulla condizione della donna. A 50 anni di distanza (2023), Baldini+Castoldi/La Tartaruga - La nave di Teseo ripropongono, con altri scritti, il Manifesto di Rivolta Femminile, e il celebre saggio Sputiamo su Hegel. “… l’ho scritto perché ero rimasta molto turbata constatando che quasi la totalità delle femministe italiane dava più credito alla lotta di classe più che alla loro stessa oppressione.” A tanti anni di distanza rimane un testo rigoroso, anche duro, ma molto ispirato. C’è uno slancio verso una futura liberazione, una presa di coscienza sulla comune condizione femminile che oggi si può solo rimpiangere. C’è la fiducia nella possibilità di affermare un punto di vista separato e distante da quello maschile; di più, c’è la convinzione di poter portare avanti un punto di vista che liberi donne e uomini, un punto di vista "più che femminile", come ho voluto chiamare questo mio blog.
Dal Manifesto: “Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell’esistenza.
“La donna come soggetto non rifiuta l’uomo come soggetto, ma lo rifiuta come ruolo assoluto. Nella vita sociale lo rifiuta come ruolo autoritario.”
“Non vogliamo pensare alla maternità tutta la vita e continuare a essere inconsci strumenti del potere patriarcale.
“La donna è stufa di allevare un figlio che le diventerà un cattivo amante.
“In una libertà che si sente di affrontare, la donna libera anche il figlio e il figlio è l’umanità.”
Il Manifesto si conclude con una frase radicale: “Comunichiamo solo con donne”.
Nel saggio che titola tirando in ballo Hegel, è altrettanto radicale e acuta l’analisi sull’oppressione della donna, "risultato di millenni”, scrive, che il capitalismo ha ereditato, non prodotto. “Al materialismo storico sfugge la chiave emozionale che ha determinato il passaggio alla proprietà privata.” Chiarisce ancora che l’archetipo della proprietà privata, il primo “oggetto” privatizzato è l’oggetto sessuale, la donna. La quale, "rimuovendo dall’inconscio dell’uomo la sua prima preda, sblocca i nodi originari della patologia possessiva”.

Precipitando da queste parole perfette alla concreta realtà quotidiana di tante donne senza coscienza, senza strumenti, tocca ridimensionare le speranze di riscatto, anzi cancellarle, se per esempio si arriva in fondo al racconto patriarcale di Andrea Bajani, L’Anniversario, Premio Strega 2025. Dieci anni dopo aver chiuso i ponti con i genitori, il protagonista definisce questo periodo liberato come il più bello della sua vita. Non c’era più niente da salvare in un ménage dove la sottile oppressione paterna, nei confronti soprattutto della madre, vede la donna attiva complice di questa sua condizione.
Ho letto ogni pagina come se fra riga e riga ci fossero, impliciti ma chiari, un commento, una parafrasi, una più esplicativa versione in prosa. E’ il pregio della scrittura di Bajani, asciuttissima ma densa di messaggi. Probabilmente questi si colgono pienamente se si mastica qualcosa delle teorie di Carla Lonzi, per esempio. Perché l’anonima storia di questa donna, tanto banale, è prigioniera di secolari condizionamenti assai umilianti. Bajani, immagino con sforzo immenso, mette affettivamente sullo stesso piano il patriarca e la madre vittima. Non può distinguere fra lui e lei, se vuole salvarsi...

Se capitasse qui una signorina extraterrestre curiosa di conoscere un po’ la storia del nostro movimento femminile, fra i tanti saggi che stanno uscendo oggi consiglierei La parola femminista di Vanessa Roghi, Mondadori, che ho appena finito di leggere. Passo dopo passo, ritrovo tanti nomi di donne pensatrici, attiviste, politiche, che hanno indicato pensieri e azioni di un percorso progressista comune a tante di noi: dal saggio Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti, agli scritti, già ricordati, di Carla Lonzi, e poi Manuela Fraire, Lea Melandri, Donata Francescato e tante, tantissime altre. Io leggevo Noi donne, e Effe, e ho ancora alcuni numeri di una rivista importante che esiste ancora oggi DWF - Donna Woman Femme (poi Nuova DWF), nata a fine 1975, che nel sottotitolo dei primi numeri si definiva come rivista internazionale di studi antropologici storici e sociali sulla donna. I temi sono tosti: "La posizione giuridica della donna nell’Antico Egitto (2778-2263 a.C.)", o "I trattati di Theodor Gottlieb von Hippel sulla emancipazione femminile". … Apro qualche pagina qua e là, e rimango di stucco nel vedere le mie note, sottolineature, asterischi, rimandi che neanche il Tristram Shandy (!): ero pazza - mi dico - o forse avevo solo un grande desiderio di un approccio certamente rivoluzionario nella lettura delle cose.
Vanessa Roghi, storica e saggista indipendente, racconta molto di sé e, nello stesso tempo, semina acute riflessioni a tutto campo: su Francesca da Rimini, ridotta a essere, nelle analisi più scolastiche della Divina Commedia, “una Madame Bovary intenta a leggere romanzi d’amore … e non, come l’autore l’ha disegnata, una grande intellettuale del suo tempo, tanto colta da riconoscere Virgilio, di cui cita l’opera, e capace di tenere uno dei discorsi retoricamente più elevati di tutta la finzione narrativa della Commedia”. Roghi cita la teologa e filosofa femminista suor Mary Prudence Allen, che ha scritto, nel suo The Concept of Woman, della straordinaria novità dell’opera dantesca, dove è una donna, Beatrice, il motore stesso della storia: novità, spiega Roghi, che secondo la teologa, sta “proprio nel ruolo trasformativo attribuito al dialogo intergenere fra uomo e donna”.
Viceversa, continuando con questo saggio, ci tocca sputare su Pasolini!
“Fa impressione che anche per un intellettuale come Pier Paolo Pasolini il sesso per la donna debba coincidere con la riproduzione o con un piacere casto e coniugale.
"L’intellettuale prende posizione contro l’aborto non abbracciando le perplessità di parte del movimento delle donne, ma rivendicando il principio per cui la vita è più importante di ogni forma di democrazia, e l’aborto è paragonabile a un omicidio.”
Gustosa la risposta a Pasolini di Giorgio Manganelli: … la felicità pasoliniana della vita intrauterina? “… la mia memoria amniotica è piuttosto corta; che allora fossi felice, chissà mai, senza nemmeno un libro da leggere … “
Se in tutti questi anni mi fosse stato chiesto a bruciapelo quale libro femminista, di quelli letti, mi è rimasto più impresso, avrei subito risposto Scrivere contro, una raccolta di interventi del convegno Donna e Informazione - 1977, a cura di Candida Curzi, Bimba De Maria, Miriam Mafai, Elisabetta Rasy, che fu ospitato nel Museo della Scienza di Milano. Come una donna poteva stare nel mondo del giornalismo, nelle gerarchie della redazione, nella scrittura dei testi, testi sulle donne? Proprio sulle donne, si legge nell’introduzione, “grava il compito di far passare un modello femminile antifemminista”.
Le donne violentate sono descritte per gli abiti succinti, le donne che commettono suicidio o infanticidio sono esaurite, quelle che stano bene si occupano di confezionare cartamodelli...: a volte dubito che oggi siano stati fatti passi avanti.
Speravo di fare la giornalista, scrivevo piccoli pezzetti sul Quotidiano donna, pensavo a una tesi di storia del giornalismo, come infatti è stato, ma con le considerazioni affollate in questa raccolta le cose si complicavano. Col gruppo di via del Governo Vecchio ho messo tutto questo in stand by.
(2-continua)

