LA CATTIVERIA
Ero sicurissima che il tycoon Usa sarebbe intervenuto a bombardare l'Iran, obbedendo (?) al leader israeliano Bibi Netanyahu. Ora però, raggiunta la Pace (?), forse una tregua (?) si può fare un passo indietro, considerando vari spunti. Come, tra molti, dice il professor Manlio Graziano (Sorbona e Science Po) - che ascolto e leggo sempre con attenzione - Trump non è una parentesi anomala nella politica americana ma l'espressione coerente di una Nazione in profonda crisi.
Per inciso, ho appena letto il breve saggio di Anna Foa Il suicidio di Israele, Laterza, che ha vinto la prima edizione del Premio Strega Saggistica (giugno 2025, Taobuk - Taormina International Book Festival), e ho pensato che sarebbe utile qualche studioso si impegnasse nella stesura di "il suicidio degli Usa" o qualcosa del genere. Recente titolo sull'argomento: La fine dell'impero americano di Alan Friedman, La Nave di Teseo, che però non ho ancora letto.
Intanto, se intenzionati a guardare il Globo mentre la Storia accelera, frena sorprende; soprattutto mostra un abisso di aberrazioni che non sembra avere fondo, si può iniziare da un concetto semplice, come ha fatto Innocenzo Cipolletta già il 28 febbraio 2025 sul quotidiano Domani, titolo: L’arma politica della cattiveria è il velo stracciato del tycoon.
Agli antipodi della “politica del desiderio” di cui si occupa Fabrizio Barca (ne parlerò), secondo Cipolletta il sentimento nuovo che irrompe nella politica è la cattiveria e, aggiungerei io, la vendetta, affermata, dichiarata, coi suoi corollari di invidia e rancore. I cattivi nella storia non si contano, in tutte le epoche (e oggi vengono subito in mente anche Putin o Netanyahu, o Salvini), ma - chiosando Cipolletta - in genere si praticava un minimo di pudore, nel tentativo di dare una mano di bianco alle peggio nefandezze, alla ferocia. Invece Trump ci minaccia con lo sguardo truce dal suo ritratto ufficiale di inizio mandato da Presidente bis, vuole fare paura. E, appare ormai evidente, ci tiene a procedere come uno schiacciasassi sopra ogni espressione di umanità ("così va il mondo", ha risposto a fine giugno a una sconcertata giornalista di Fox, rivendicando tutte le cattiverie Usa verso la Cina). Ridondante elencare i clandestini in catene, l'approccio con il presidente ucraino nello Studio Ovale, o con il Canada; le accuse false e semplicistiche - la cattiveria è un sentimento semplice, infantile -, le iniziative brutali; ma, informandomi qui e là, non trovo meno barbaro cancellare lo spagnolo dal web e dai social della Casa Bianca, perché “siamo negli Stati Uniti, qui non devi parlare il tuo spagnolo di merda”. E questo riferito a una comunità che, numeri alla mano, registra un continuo incremento demografico e produttivo (forse proprio per questo): “Gli Stati Uniti sono il paese con il maggior numero di studenti di spagnolo al mondo, ... tra scuola primaria, secondaria e università. ” (Monica R. Bedana, direttora della scuola dell’Università di Salamanca in Italia, Domani, 22 febbraio 2025).

Già Franco Fornari, psicanalista e psicologo, nel 1964 pubblicava Psicoanalisi della guerra (oggi Feltrinelli) e due anni dopo Psicoanalisi della bomba atomica, spinto da un radicale bisogno di Pace, un tema che continuerà a trattare per molti anni a seguire. Massimo Recalcati, allievo di Fornari, nel 2004 pubblicò con Castelvecchi De Odio, in cui indaga questo primordiale sentimento umano, che oggi non si può non associare al profilo di alcuni cattivissimi uomini politici.
Parafrasi - L’Odio è il rifiuto della perdita dell’Uno. La guerra è il rifiuto del lutto. Lutto per quale perdita? La perdita dell’Uno, cioè del potere (possesso?) solitario ed esclusivo. Il fondamento della democrazia è l’accettazione del lutto. Accettare questo lutto significa aprirsi al dialogo con il Due, l’altro. La tendenza autoritaria vorrebbe imporre l’affermazione dell’Uno, cancellando la pluralità implicita nel Due. La cattiveria - l’odio - di Putin ha origine nella perdita (disgregazione) dell’URSS, un lutto con cui non si vuole fare i conti, inaccettabile. Trump, sconfitto da Biden nelle elezioni presidenziali 2020, scopre che non è più Uno, c’è un altro, un Due. Non accetta questa perdita della sua unicità, rifiuta il lutto, e ora, finalmente, è giunta l’età della vendetta, nella quale, tra molto altro, vuole spazzare via qualunque interlocutore, la stessa Corte suprema, a maggioranza repubblicana, e Jerome Powell, presidente della Banca centrale americana, la Federal Reserve. Massimo Recalcati centra un altro aspetto sentimentale associato all’Odio, e cioè l’Invidia. “L'invidia è sempre invidia della vita”, e sono d’accordo con chi ha ipotizzato che nello Studio Ovale Trump abbia maltrattato il Presidente ucraino perché lo invidia, a riprova di quanto questo sentimento sia profondo e subdolo. Con tutto l’apparato ai suoi piedi, i suoi capitali, il potere espresso in modo persecutorio per ogni dove, Trump invidia la personalità di Zelenski, nato modesto attore comico (ho visto la serie in cui era protagonista, Servitore del popolo, titolo premonitore) e diventato uno statista, che non è fuggito, che affronta tutto in difesa del suo Paese, le minacce di morte, le continue frustrazioni per le ciniche lentezze, anche dell'Europa, instancabile. Nonostante la fitta sassaiola dell'ingiuria di cui è oggetto.

Il film The Apprentice, racconta bene la cattiveria di The Donald fin dagli inizi della sua ascesa immobiliare newyorkese (anni Settanta-Ottanta). La passionale volontà di arricchirsi a ogni costo - una vera ossessione - motivava il suo legame con l'avvocato Roy Cohn, ammanicato con vari esponenti della mafia di Manhattan, e colui che, a soli 23 anni, legato al maccartismo, aveva fatto condannare a morte i coniugi Rosemberg, accusati di essere spie dell'Urss. A costui, il giovane, rampante palazzinaro si legherà con infinita gratitudine per realizzare il suo sogno di ricchezza, attraverso simboli scintillanti come la Trump Tower sulla Quinta Strada di New York, senza però disdegnare infiniti altri affari sporchi tra quartieri fatiscenti e casinò.
Ma, effettivamente, dietro l'ambizione, e anche dietro gli affari sporchi, c'è di più: la cattiveria. Prima col fratello in difficoltà, Freddy Jr., morto alcolista, trattato fino all'ultimo con perverso mix di indicibile freddezza e paternalismo. Poi, soprattutto, con lo stesso Cohn, forse omosessuale, forse morto di Aids o per probelmi al fegato, a cui Donald riserva un trattamento di raffinata, gelida indifferenza... Il film, su cui si possono leggere infnite recensioni, ha molto poco di inventato, si sostiene. In ogni caso, poichè oggi è inevitabile osservare il Presidente Trump di ora in ora, il profilo sadico che si deduce dalla trama, appare verosimile e coerente con quel che verifichiamo di giorno in giorno.

Tra i cattivi maestri del Presidente, durante il suo primo mandato ha particolarmente brillato Steve Bannon, autore principale della narrazione che ha favorito l'ascesa di Trump; front-man della propaganda repubblicana, uomo dall'atteggiamento "aggressivo, categorico, sfacciato": Gli aggettivi sono di Bob Woodward (premio Pulitzer 1973 con Carl Bernstein per l'inchiesta sul caso Watergate; altro Pulitzer nel 2003 per le cronche sull'11 settembre). Tra i 18 bestseller che ha scritto, si intitola Paura il saggio dedicato a Trump alla Casa Bianca (Rizzoli 2018-2021, 488 p.), inquietante lettura sui possibili, potenzialmente definitivi disastri causati dal nuovo Presidente, dal suo modo dilettantesco e umorale di rapportarsi con autori di conflitti e dittatori del mondo (vedi il rischio - ben spiegato in questo volume - di guerra nucleare con la Corea del Nord, durante il primo mandato). Tuttavia, come forse si ricorda per il clamore che ebbe la notizia, fu proprio Bannon a sperimentare la capricciosa cattiveria di Trump I. Fu licenziato: avevano infatti aspramente litigato sulla priorità da dare a una politica di contenimento dell'Iran e della Russia (Trump) o sulla necessità di ostacolare in tutti i modi la Cina (Bannon). Quest'ultimo considerava che l'economia russa è paragonabile a quella del solo Stato di New York, mentre quella cinese, in un decennio circa, avrebbe superato quella americana. Tra molti altri risvolti, troppo complessi da riassumere qui, come si vede, oggi Trump ha cambianto strada in senso anti-cinese.
Bannon non pensava che sarebbe stato cacciato, ma "il rancore era un aspetto dominante della personalità di Trump. Si comportava come un quattordicenne che si sente trattato in maniera ingiusta. Impossibile parlargli come a un adulto. Con lui bisognava usare una logica da adolescenti". ... Altro tema trumpiano: "Nei primi sei mesi alla Casa Bianca pochi sapevano quanto fosse grave la sua teledipendenza. Era un avera mania. Al mattino non si presentava allo Studio Ovale prima delle undici. Guardava la tv per sei, otto ore al giorno. Dopo un'abbuffata simile non gli va in pappa il cervello?, si chiedeva Bannon. Per questo continuava a ripetere al presidente di staccare la spina".
Ma, oltre ai licenziati, durante il Trump I tanti hanno dato le dimissioni. Paura si conclude con una di queste, il clamorso addio di John Dowd, nel marzo 2018, capo degli avvocati del Presidente nel caso Russiagate. Woodward scrive che Dowd era sinceramente convinto che Trump non fosse colluso, ma aveva intravisto "la tragica pecca dell'uomo e della sua presidenza ... Però non poteva permettersi di dire al Presidente: sei un fottuto bugiardo".

Sergio Fabbrini su Il Sole 24 Ore del 2 marzo 2025 scrive delle probabili iniziative di Trump su Ucraina, Panama, dazi e così via. Le intenzioni di Trump, scrive, "sono perseguite con uno stile gangeristico". Anche se l'America non è solo Trump, "Trump II è nelle condizioni istituzionali e politiche per introdurre, come sta facendo, pratiche autocratiche nel sistema costituzionale del paese". Inoltre aggiunge due considerazioni: primo, che l'America per la sete urbi et orbi di vendetta trumpiana sta danneggiando se stessa (make America small again?): "Certamente, umiliare gli europei non corrisponde agli stessi interessi economici americani" ... e vedremo i nuovi episodi della telenovela sui dazi; secondo che solo un'Europa federale può rispondere a Trump, che infatti vuole trattare singolarmente con ogni nazione "con zero potere contrattuale". L'Italia, il suo attuale governo, per affinità ideologica con Trump, potrebbe pervicacemente proseguire sulla strada dell'accordo (?) individuale, del rapporto privilegiato (?) fra Giorgia Meloni e il Bullo della Casa Bianca. Riducendo l'Italia in niente o, come conclude il professor Fabbrini, "nel cavallo di Troia per svuotare l'Ue dall'interno".

